Wealth Management 3.0: il futuro della consulenza finanziaria è già qui
Banche e aziende finanziarie servono i bisogni finanziari dei clienti abbienti da secoli prima dell’avvento del digitale e con mutua soddisfazione delle parti. Ogni fase storica, però, determina cambiamenti ed evoluzioni che talvolta diventano “un guado”, da superare per non finire nel fiume. Stando alla visione espressa in una ricerca molto ben argomentata di Morgan Stanley e Oliver Wyman del luglio scorso, questo è uno di quei momenti cruciali.
Solo le aziende che, grazie a tecnologie sempre più potenti e accessibili, sapranno effettuare una transizione dal modello attuale al paradigma che la ricerca chiama Wealth management 3.0 potranno affrontare con successo, a prescindere dalla loro dimensione, la sfida rappresentata da un mercato più competitivo e difficile e da margini strutturalmente sotto pressione.
È finito il bull market, e non solo…
Diciamo che non serviva essere Cassandra per aspettarsi un reversal di mercato dopo oltre 10 anni di bull market e di crescita continua. Il vero problema è che non si tratta di una correzione tecnica di trend, ma piuttosto di uno scenario molto preoccupante e complesso le cui ripercussioni e la cui durata sono difficili da prevedere.
La contemporaneità delle cattive notizie è sconfortante: da un’elevata inflazione, che pareva episodica e oggi sembra diventare strutturale, a una crisi energetica senza precedenti, fino ad arrivare a uno scenario politico che sembra destinato ad assistere alla fine della globalizzazione e all’inizio di una nuova era di protezionismi e nazionalismi. Questo scenario non solo rende difficile trovare un cosiddetto safe haven per gli investimenti, ma rende molto difficile il lavoro dei wealth advisor che devono spiegare le performance ai propri clienti.
Anche i margini operativi del settore sono sotto pressione per ragioni strutturali che si aggiungono alle incertezze del contesto macro. Le previsioni, ragionevolmente, dicono che i tassi di crescita stellari del wealth management nel 2021, anno record per l’industria, saranno difficilmente realizzabili nei prossimi anni.
Ma anche in un contesto sfidante si possono trovare nuovi clienti e maggiori ricavi
Negli ultimi 20 anni, i wealth manager di tutto il mondo si sono concentrati per lo più sul segmento degli UHNWI (Ultra High Net Worth Individual ), cioè quello degli individui più ricchi. Questo è un segmento di mercato tipicamente molto competitivo e difficile da scalare per le aziende che non abbiano un brand molto prestigioso e forti capacità nell’investment banking.
D’altro canto, sul segmento più “basso” del mondo degli HNWI, cioè quello che sta tra i 300mila e i 5 milioni di dollari, non solo i wealth manager hanno investito poco, ma si sono affacciati molti “nuovi” clienti che a seguito della pandemia sono stati abbandonati a se stessi dalle banche tradizionali.
Secondo le stime proposte nella ricerca citata sopra, questo bacino di ricchezze ammonta oggi a circa 230 miliardi di dollari, tra i lower HNWI e i cosiddetti upper affluent. In questo segmento di mercato, la penetrazione del wealth management è di appena il 15-20%.
Di qui al 2026, si stima che tale segmento di mercato creerà 45 miliardi di dollari USA di nuovi ricavi, pari al 60% del pool di ricavi globali del settore nel 2026.
È lecito domandarsi perché i wealth manager non abbiano investito su questo segmento di mercato. La risposta è semplice: i costi operativi per gestire tale segmento sono troppo alti.
La ricerca (una delle poche che agli schemi teorici accompagna robuste evidenze numeriche!) stima che il costo per servire un cliente medio del segmento HNWI/UHNWI con il modello tradizionale è tra gli 8.000 e i 20.000 dollari USA. Nel caso di un modello “ibrido” (umano e digitale), il costo stimato per servire un cliente scende invece a 2.000-8.000 dollari e nel caso di un servizio totalmente digitale può attestarsi tra i 500 e i 2.000 dollari.
Nuovi clienti, nuovi bisogni: è la stagione dei private markets
I clienti in questi anni sono cambiati. Oggi, circa il 66% dei clienti del settore usa i canali digitali (era il 43% nel 2017). I clienti vogliono e sono abituati a un maggior grado di personalizzazione del servizio: la ricerca stima che per il 70% dei clienti il livello di personalizzazione del servizio sia uno dei fattori critici nella scelta di un wealth advisor, e questo vale per tutti i livelli patrimoniali.
Anche a livello di prodotto, le esigenze sono cambiate: oggi non bastano i prodotti tradizionali, è imprescindibile offrire ai propri clienti prodotti ESG, nuove asset classes come le valute digitali o gli NFT e soprattutto i private markets che, alla luce della domanda da parte degli investitori di nuovi rendimenti reali, saranno i veri protagonisti della crescita dei ricavi per il settore nel prossimo quinquennio.
Ridurre i costi e aumentare la soddisfazione dei clienti con la personalizzazione dei modelli di servizio
Questo è uno dei punti chiave per la transizione al Wealth Management 3.0. Le nuove tecnologie consentono di personalizzare l’esperienza del cliente e le soluzioni offerte e, allo stesso tempo, di abbassare i costi del servizio.
Oggi, la quasi totalità dei wealth manager dispone di canali e servizi digitali, anche per soddisfare le mutate aspettative dei clienti, ma il modello di servizio è generalmente lo stesso per tutta la clientela. Serve invece ipotizzare modelli di servizio diversi e modulari:
1) tradizionale/umano;
2) ibrido (con caratteristiche gradi di discrezionalità del tutto personalizzabili);
3) 100% digitale
Questi diversi modelli possono coesistere in qualunque azienda, pur con spazi diversi, e vanno popolati tenendo conto del potenziale economico, dei bisogni del cliente e delle sue attitudini digitali.
Personalizzare il modello di servizio presenta molteplici vantaggi: consente di servire più clienti, di servirli meglio e in modo più personalizzato, di attrezzarsi per la “transizione generazionale” e di rendere economicamente profittevoli anche quei clienti che, pur avendo un patrimonio elevato, preferiscono operare in regime amministrato e in autonomia. Ovviamente, ogni wealth manager può differenziare l’approccio secondo le proprie caratteristiche e i propri punti di forza.
La maggior personalizzazione del servizio, oggi accessibile su qualunque scala grazie ai data analytics, è una delle variabili chiave nella scelta del fornitore (la ricerca stima che lo sia per il 70% dei clienti) ed è uno dei fattori chiave per attribuire valore al servizio di consulenza.
La tradizionale metodologia di segmentazione dei clienti sulla sola base patrimoniale non è più sufficiente, la personalizzazione e l’efficientamento del modello di servizio richiedono una più approfondita conoscenza dei clienti, oggi ampiamente accessibile attraverso i data analytics e i tool di profilazione.
Profilare i clienti non solo rende possibile l’upselling sui clienti esistenti, ma consente di realizzare campagne di acquisizione di clienti molto più performanti.
Struttura operativa e tecnologia: è tempo di cambiare
Questo è il punto cruciale, per abbracciare davvero i benefici del Wealth management 3.0 e rendere il modello di servizio più economico e flessibile, serve cambiare il modo di lavorare, snellire e automatizzare i processi e modernizzare la tecnologia. Le aziende devono attrezzarsi per sfruttare appieno le potenzialità e il valore dei dati e interagire efficacemente con i propri partner e fornitori esterni di prodotti e servizi. Ma ancora più importante (e più difficile) rispetto a modernizzare l’infrastruttura tecnologica è cambiare il modo di lavorare e i processi interni.
La strategia da adottare è quella di un graduale abbandono dei processi legacy e l’automazione di quei task che oggi sono manuali e la creazione di un’infrastruttura tecnologica modulare incentrata su un aggregation layer che da un lato alimenti app e canali e dall’altro possa integrare le funzioni delle componenti legacy con altre di terze parti e partner.
Il beneficio di utilizzare dati realtime e processi digitali ha un impatto anche sulle funzioni di controllo e sulla misurabilità dei risultati, consentendo quello che Morgan Stanley e Oliver Wyman battezzano dynamic value management, cioè la possibilità di tenere d’occhio constantemente la produttività e l’aderenza ai piani, con significativi benefici in termini di efficienza e trasparenza.
Qui sotto il modello operativo/tecnologico del Wealth management 3.0
Ma quanto costa diventare WM 3.0?
È difficile stimare il costo necessario alla trasformazione richiesta dal Wealth management 3.0. La ricerca, comunque, offre un riferimento rispetto a quanto i principali attori dell’industria del wealth management a livello globale stanno investendo nell’efficientamento dei processi e nella trasformazione tecnologica. I livelli di investimento vanno tra il 6-8% dei ricavi per i leader e il 2-3% di quelli un po’ più indietro.
E in Italia? Non ho idea di quanto i maggiori wealth manager stiano investendo. Quello che so è che proprio il settore del Wealth management si sta muovendo abbastanza rapidamente sul fronte dei customer analytics e della personalizzazione del processo di advisory basata sull’AI.
Noi in Virtual B ci occupiamo di questo e abbiamo già aiutato migliaia di advisor a lavorare meglio. Se volete vedere una demo dei nostri tool, potete contattarci al link sottostante e scoprire come applicare le logiche del Machine Learning ai vostri processi aziendali.